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TORRE ANNUNZIATA| «Città da ridisegnare. Non basta una commissione»

 

celonerSotto la montagna di macerie di vico Uguaglianza ci sono le speranze di una Torre Annunziata che adesso stenta a credere nel rilancio. Sopra, invece, le solite promesse delle istituzioni.

Raffaella Celone sa di avere un compito duro e un’agenda che scotta. Anche per questo introduce il tema senza fronzoli.

«Il rione delle Carceri è un’emergenza che si è imposta all’attenzione generale in maniera prepotente. E va affrontata di petto».

E’ il nuovo assessore all’urbanistica, giovane e determinata. E sa bene di cosa parla.

«Quella fetta di città la conosco fin da quando ero una giovane studentessa, poi ho insegnato all’istituto Mazzarello e in classe mi capitava di alzare lo sguardo verso le finestre e fissare il pastificio Vitagliano, sventrato e ridotto in rudere. Sono passati molti anni, e quel mostro è ancora lì, che incombe sulla città e sulla sicurezza dei residenti».

Sono le ferite di tre decenni di abbandono e di devastazioni. Prima del terremoto c’è stato lo scoppio, dopo c’è stato il nulla. Il rione delle Carceri resta una ferita aperta.

«E’ evidente che si sono sbagliati i progetti, che si sono sbagliate le strategie. E’ evidente che bisogna voltare pagina e cambiare approccio al problema».

Diciamo la verità: serve un’idea complessiva di sviluppo.

«Già, è evidente anche questo».

Cosa si può fare adesso?

«L’emergenza dei rioni-degrado va affrontata su due livelli. Quello degli interventi di somma emergenza e quello della progettualità in chiave futura».

Ovviamente i due livelli si sovrappongono.

«Sono aspetti che vanno curati allo stesso tempo, considerando ovviamente una scala di priorità. Oggi ci sono i crolli, ci sono le risposte da dare ai residenti che convivono con l’incubo dei cedimenti, c’è da stilare la mappa del rischio e c’è da buttar giù le costruzioni che costituiscono un pericolo immediato. Oggi il chiodo fisso è la messa in sicurezza dell’area, poi…».

Poi è tempo di cancellare gli errori del passato e magari evitare di attendere la nuova fase di emergenza in silenzio.

«Nel tempo ci sono responsabilità precise che non spetta a me valutare, ma bisogna anche ammettere che qui servono ingenti capitali che non si trovano dietro l’angolo. Bisogna adeguarsi, e per farlo va cambiato il modo di pensare, va cambiata la prospettiva, bisogna avere il coraggio di cominciare a pensare in grande».

E forse bisogna iniziare a guardare oltre il proprio naso e smetterla con la politica poco lungimirante e narcisista.

«La politica vera antepone l’interesse collettivo a quello di pochi, io la penso così. Il centro storico di Torre Annunziata deve essere l’area nella quale favorire il recupero e la riqualificazione degli edifici di valore storico, ovviamente bisogna abbattere e ricostruire sulla base di un progetto di largo respiro che preveda l’insediamento di funzioni attrattive di qualità turistiche, produttive e culturali».

Tutto ciò che fino ad oggi è stato un progetto-chimera.

«Il passato è passato, le responsabilità non si cancellano, ma è importante guardare avanti con coraggio e determinazione. Ovviamente non dobbiamo dimenticare che il rione delle Carceri è un problema complesso di edilizia privata, un tema che per un ente pubblico rappresenta un campo minato. A noi spetta il compito di proporre un’idea concreta, l’obbligo di costruire una cornice dentro la quale favorire gli investimenti di capitali privati. Per fare questo, però, bisogna rendere la città un cantiere aperto, un contenitore di possibilità economiche».

Come?

«Disegnando la città del futuro e indicare le direttrici di sviluppo in maniera concreta. Non basta nominare una commissione di tecnici comunali per risolvere l’emergenza, piuttosto servirebbe un concorso di idee, una sinergia con gli ordini professionali. Bisogna disegnare una nuova Torre Annunziata, da costruire nell’arco di cinque o dieci anni, fondata sul turismo e sulle sue tradizioni. Solo così i privati accetteranno di investire nel riscatto sociale ed economico. Diversamente non vedo alternative valide».

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